Spigolature su
Michelangelo, i Medici e i Martelli in San Lorenzo
Firenze, Basilica di San Lorenzo, 6 marzo 2025
In questa cornice ideale, che riassume in sé tutti gli interpreti della storia che andrò a narrare, dedichiamo assieme questo tardo pomeriggio all’ascolto del racconto un po’ vero, molto verosimile in cui si parlerà di protagonisti che vissero oltre cinquecento anni fa.
Siamo alla fine del Quattrocento e gli interpreti della nostra storia sono:
Il festeggiato: Michelangelo Buonarroti che era nato oggi, 6 marzo, del 1475;
La casa di Lorenzo il Magnifico e quella dei Martelli in via Larga frequentata dai figli di Lorenzo, dai giovani artisti del “giardino di San Marco”, da altre “persone degne e di nobiltà”:
La parrocchia dei Medici e dei Martelli: la basilica di San Lorenzo, dove i Medici avevano già due cappelle, quella funeraria (Sagrestia Vecchia), quella intitolata ai Santi Cosma e Damiano, il presbiterio con la sepoltura sotterranea e terragna a Cosimo il vecchio, pater patriae. Ma anche i Martelli avevano la loro, guarda caso proprio accanto alle prime due e nel braccio sinistro del transetto e noi ci siamo davanti.
Iniziamo la storia
Michelangelo era nato il 6 marzo 1475 a Chiusi o Caprese da Ludovico Buonarroti e Francesca di Neri del Sera, quando il padre era podestà in quelle due terre aretine. I Buonarroti, è noto, erano caduti in povertà, ma Ludovico faceva di tutto per mantenere un certo tenore di vita e restare fra i maggiorenti. A sette anni Michelangelo era stato mandato a scuola da Francesco da Urbino. Il padre desiderava che il giovane ricevesse i primi rudimenti di contabilità, letteratura e imparasse a stendere documenti mercantili, nozioni necessarie per un giovane che aspirasse ad avere un certo agio economico. A dieci anni l’amicizia con Francesco Granacci aveva permesso a Michelangelo di iniziare a disegnare e a copiare disegni della bottega dei Ghirlandaio. Del 1488 è il contratto di apprendistato del nostro presso la bottega ghirlandaiesca, frequentazione che durò per non più di tre anni. Correva l’anno 1489-1490 e per Firenze si era sparsa la voce che Lorenzo il Magnifico cercasse giovani interessati alla scultura da accogliere nel “giardino di San Marco”.
Il Magnifico aveva fatto costruire un giardino su modello platonico, con una loggia, prati e vialetti pieni di statue antiche, bassorilievi, frammenti di marmo, in cui voleva ricreare un’accademia di studio su modello di quella ateniese. Lorenzo voleva coltivare i talenti dei giovani offrendo loro la possibilità di emanciparsi. Narrano le fonti come una mattina fra il 1489 e il 1490 Granacci e Michelangelo andassero verso il giardino curiosi e desiderosi di capire cosa si facesse in quel luogo e se anche loro avessero potuto essere accolti. Vi trovarono il Torrigiano che stava modellando la creta con l’approvazione del vecchio Bertoldo di Giovanni, che aveva lavorato con Donatello ai bassorilievi utilizzati nei pulpiti di San Lorenzo. Lo sguardo dei due ragazzi al luogo fu rapido, ma da subito restarono attratti dalla magia dell’antico. Bertoldo prese Michelangelo sotto la sua ala e Lorenzo poté constatare le doti naturali del ragazzo. I biografi (Condivi e Vasari) narrano che l’ingresso del giovane in casa di Lorenzo avvenne dopo l’episodio della scultura del fauno che certo tutti voi ricordate…
E qui inizia una nuova prospettiva di vita per il giovane. Vasari afferma che nel palazzo di via Larga Michelangelo ebbe una camera e mangiò alla mensa di Lorenzo “ co’ sua figlioli e altre persone degne e di nobiltà” Una costellazione di menti luminose da Cristoforo Landino, a Marsilio Ficino a Vespasiano da Bisticci. C’erano poi Pico della Mirandola, Agnolo Poliziano, con cui ebbe un rapporto strettissimi e ricevette stimoli continui. Michelangelo poteva osservare da vicino le raccolte di gemme, cammei, pietre incise antiche delle collezioni di Lorenzo, assieme al Magnifico e scambiare idee e pensieri con lui; poteva assistere a letture e disquisizioni colte; poteva aprire la sua mente e metterla a disposizione di quella mano già così felicemente dotata. Poteva vivere assieme ai figli e ai nipoti di Lorenzo ricevendo un’educazione da principe; poteva stare fra i giovani artisti accolti nel giardino, coetanei, ma anche più grandi: il Torrigiano con cui ebbe il ben noto contrasto che portò a Michelangelo la frattura del setto nasale, Giovan Francesco Rustici, il Bugiardini (coetanei), Baccio da Montelupo e il Granacci (un po’ più grandi), Andrea Sansovino e Lorenzo di Credi, il più vecchio fra gli artisti ricordati dal Vasari in casa di Lorenzo.
Fino a qui le biografie del nostro ci dicono tutto, ma non si addentrano a specificare quali fossero le persone degne e di nobiltà che erano ospiti nella casa di Lorenzo e con cui Michelangelo poteva aver strinto dei rapporti. Eppure credo che non sia difficile immaginare che i figli degli amici di sempre, ossia dei “supporters” dei Medici del Quattrocento, i Martelli che vivevano ancora nel palazzo di via Larga, prospicente quello dei Medici (ancora la strada prende il loro nome), potessero essere fra quelli. Una moltitudine di ragazzini e adolescenti avendo avuto in quegli anni i Martelli prole molto numerosa. Ugolino, figlio di Niccolò e Fioretta Bartolini era uno dei nove figli della coppia e a sua volta aveva avuto dal matrimonio con Betta di Bartolome Serragli, ben tredici figli (Niccolò, [Ginevra], Ludovico, [Filippo], Ginevra, Luigi, Filippo, Alessandra, Lorenzo, Carlo, Cosimo, Lena, Giovan Battista) che, assieme ai figli di Lorenzo il Magnifico e Clarice Orsini, (Lucrezia, Piero, Maddalena, Giovanni, Luisa, Contessina, Giuliano cui si unirono il figlio di Giuliano (fratello del Magnifico) Giulio e, più tardi, Luigi de’ Rossi) avranno costituito l’allegra brigata di cui veniva a far parte il sedicenne Michelangelo. Della loro vita gioiosa e della loro educazione danno notizie numerose lettere. Della loro amicizia con Michelangelo non si sa niente.
I rapporti fra i Medici e i Martelli sono abbastanza noti, ma oggi qui davanti all’Annunciazione di Filippo Lippi e al sarcofago che Roberto Martelli ordinò a Donatello per il padre Niccolò e la madre Fioretta nel 1464 (era nei sotterranei della basilica e fu spostato nell’Ottocento) voglio ricordare che il loro supporto e il loro denaro permise di spostare il Concilio da Basilea a Ferrara e da Ferrara a Firenze. In memoria di quell’evento del 1439, in cui la città si riempì di personaggi provenienti dall’oriente che portarono tesori inestimabili (episodio testimoniato nella cappella dei Magi all’interno del palazzo Medici, Benozzo Gozzoli 1459), la consorteria delle due famiglie legate ai banchi di Roma, Pisa, Milano e Bruges si fece sempre più forte e importante. Ce lo testimoniano i documenti reperiti durante gli studi sull’Annunciazione di Filippo Lippi (da poco restaurata da Lucia Biondi per conto dei Friends of Florence), che qui costituiscono l’humus su cui cresce la storia, finora ignota ai più, del rapporto di Michelangelo con i Martelli.
La stretta relazione economica e mercantile, l’amicizia sincera e profonda reciproca fra le due famiglie, la vicinanza delle abitazioni, gli interessi culturali comuni lasciano credere che nella casa di Lorenzo Michelangelo abbia conosciuto anche i Martelli: quelli prima ricordati, ma forse anche Ilarione, le cui case erano a confine di San Lorenzo e ad esse si giungeva mediante un vicolo (ancora esistente) che collegava direttamente la basilica alle loro case. In passato ho pensato che Michelangelo potesse pensare a quello come via di fuga in caso fosse stato scoperto bella “stanza segreta” quando si stava nascondendo dal duca Alessandro e da Clemente VII:
E se questi rapporti antichi ci appaiono più che plausibili sono certi quelli successivi testimoniati da due lettere, ancora conservate, che Michelangelo e Niccolò Martelli si scambiarono dopo la visita di quest’ultimo a Roma dove vide la cappella Sistina e il Giudizio universale appena concluso.
Scrive così Niccolò
Firenze, 4 dicembre del 1541
A Michelangelo Buonar(uoti). Se ‘l cielo et la natura non havessero posto in voi in un suggetto et la nobiltà et la virtù, oltre a una certa innata cortesia, che voi haveste sempre, di degnare così i virtuosi e buon compagni come i mecenati e i grandi, certamente, anchora che io sia d’una medesima patria, io mi spaventerei di scrivere a un Michelangel più ch’uomo e al più bello imitator della natura che fosse mai con i colori, col martello et con gl’inchiostri.
Ma che dich’io? Non v’ha Iddio miracolosamente creato nella idea della fantasia il tremendo Giuditio che di voi novamente s’è scoperto, di cui chi lo vede ne stupisce et chi n’ode parlare di sorte ne invaghisce, che gli viene un desiderio di vederlo sì grande, che per insin che non l’ha veduto non cessa mai, e, veggendolo, trova la fama di ciò esser grande e immortale, ma l’opera maggiore et divina?
Onde con ragione si può dire un Michelangel nuntio di Dio in cielo, et uno in terra unico figliuolo et solo imitatore della natura. Ma per non entrare in sì profondo pelago di sì alto mare, farò fine, pregandovi che accettiate le rime che l’affettion ch’io porto alla bontà vostra m’ha saputo creare, non come cose degne di voi ma come della patria sua. Et trovando in esse cose da gastigarle, fatelo, ch’io ve ne saperò buon grado. Di Fiorenza, a dì III di dicembre. MDXL. Nicolò Martelli.
E Michelangelo risponde a quelle parole piene di ammirazione con la sua acuta intelligenza.
Ma leggiamo la lettera di Michelangelo:
Biblioteca Nazionale in Firenze. Di Roma, 20 di gennaio 1542.
CDXXII.
(A messer Niccolò Martelli in Firenze) 383)
Messer Niccolò. – I’ ò da messer Vincenzo Perini una vostra lettera con dua sonetti et uno madrigale. La lettera e ‘l sonetto diritti a me sono cosa mirabile, tal che nessuno potrebbe essere tanto ben gastigato, che in lor trovassi cosa da gastigare. Vero è che mi dànno tante lodi, che se io avessi il paradiso in seno, molte manco sarebbono a bastanza. Veggo vi siate immaginato ch’io sia quello che Dio ‘l volessi ch’io fussi. Io sono un povero uomo e di poco valore, che mi vo afaticando in quell’arte che Dio m’à data, per alungare la vita mia il più ch’io posso; et così com’io sono, son servitore vostro et di tutta la casa de’ Martelli; et della lettera et de’ sonetti vi ringrazio, ma non quanto sono ubbrigato, perchè non aggiungo a sì alta cortesia. Son sempre vostro. Di Roma alli XX di gennaio l’anno XLII.
Michelagniolo Buonarroti. [474]
Vale la pena dire ora due parole su Niccolò Martelli, un personaggio non marginale nella storia e nella politica di metà Cinquecento.
Niccolò era figlio di Giovanni Martelli e nacque a Firenze nel 1498. Giovanni era un abile mercante fiorentino che pensò da subito d’instradarlo verso quello stesso mestiere e lo inviò a Roma nel 1512 ad apprendere l’arte della mercatura e del cambio presso la sede del banco Martelli nella città pontificia. Ma: i suoi interessi erano tutti rivolti verso la letteratura e l’arte poetica, così in poco tempo, incoraggiato da Pietro Aretino”, iniziò a comporre versi ispirandosi proprio alle opere dell’Aretino e dell’Alamanni. Ben presto divenne uno dei letterati di spicco alla corte di papa Leone X de’ Medici.
Tornato a Firenze alla morte del pontefice partecipò alla congiura contro Giulio dei Medici 1522 e dovette fuggire a Parigi. Tenne relazioni con tutti i potenti del momento in forma epistolare e poetica. Indirizzò 100 sonetti a Caterina dei Medici, a Cosimo duca di Firenze, al duca di Orleans. Fondò l’Accademia degli Umidi nel 1540 col nome di Spadino, poi su spinta di Cosimo I prese parte all’Accademia fiorentina. Fu podestà di Impruneta nel 1543, morì senza discendenza nel 1555 (ASF, busta 1, n. 34, cc. 93-94)
Quindi un personaggio di spessore il cui rapporto con Michelangelo è testimoniato da queste lettere e dalla Rime che dedicò al nostro. Ecco che Niccolò è il certo legame fra i Medici, Michelangelo e i Martelli .
Ma ora interrompiamo il racconto e ascoltiamo Sara Pastine con la Partita n. 2 in re minore per violino solo di Johannes Sebastian Bach
Spostiamoci verso l’ingresso della chiesa per terminare il nostro omaggio a Michelangelo che, nel 1525, quindi cinquecento anni fa, disegnò ed eseguì la così detta Tribuna delle Reliquie, posta nella controfacciata della basilica ambrosiana.
Sopra la porta centrale della controfacciata è posto un terrazzo sorretto da due alte e forti colonne in pietra serena, che fiancheggiano un grande arco corrispondente al portone centrale. Lo sovrasta uno stemma Medici in marmo bianco, dalla forma a teschio di cavallo, presumibilmente eseguito su disegno di Michelangelo. Il terrazzo è definito da una balaustra con colonnine in marmo. Sulla parete si vedono due lesene in pietra scolpite a ghirlande di fiori e frutta, di diversa esecuzione e differenti temi narrativi. Esse delimitano lo spazio destinato a due armadi, di cui quello centrale ha un timpano che delimita la cornice marmorea, mentre il vano a destra di chi guarda dà accesso al terrazzo. È la così detta “Tribuna delle Reliquie”. Fu fatta edificare da papa Clemente VII Medici nel 1525, su disegno di Michelangelo, per custodire ed esporre le Sacre Reliquie da lui donate alla basilica.
Le Sacre Reliquie del tesoro mediceo sono in parte quelle giunte in Europa dopo la caduta di Costantinopoli e acquisite da papa Leone X dei Medici. Inserite in preziosi vasi in pietre dure e cristallo di rocca con smalti, ori e argenti della collezione di Lorenzo il Magnifico, sono ora conservate al Museo delle Cappelle Medicee.
Papa Clemente VII, che aveva incrementato la raccolta, donò il tesoro alla basilica di San Lorenzo e stabilì con precisione le modalità della loro ostensione. Con una Bolla, datata 1532, sancì che queste dovessero essere mostrate al popolo la sera di Pasqua. C’è solo da immaginarsi l’effetto scenografico di tale apparizione. Alla solennità della celebrazione si univa lo stupore creato dallo scintillare della luce delle candele, che si rifletteva sui vasi preziosi. L’umano e il divino s’ incontravano e si fondevano senza soluzione di continuità.
Grazie a tutti e alla prossima occasione MARTELLI.