La Redazione intervista Cristina Acidini Luchinat
Le cosiddette “ città d’arte “ sono state particolarmente colpite, sia sotto il profilo economico che culturale, dagli effetti negativi prodotti dal Covid 19. Firenze, con la crisi del centro storico, ha visto crollare quel modello “ mordi e fuggi “ che si era sempre più affermato negli ultimi anni. A tuo avviso, questa lezione è stata utile per un ripensamento complessivo o tutto tornerà come prima ?.
Nell’ultimo terribile anno ho creduto, e credo tuttora, che il modello del turismo veloce, incanalato in percorsi ricettivi, museali ed enogastronomici standardizzati, fosse da ripensare, proponendo riflessioni e azioni concrete per mettere a punto offerte alternative. Temo che in realtà il tempo trascorso non sia stato messo a frutto per sviluppare nuovi indirizzi ed elaborare una nuova e diversa progettualità dell’accoglienza: almeno, non a Firenze, dove sembra che si aspetti solo il ritorno dello status quo (pur sapendo che è impossibile in tempi brevi). Se vi saranno, delle modifiche saranno imposte da fatti oggettivamente accaduti: maggior sviluppo delle attività culturali online, riduzione della ricettività (alberghi, B&B, ristorazione), contrazione di un certo commercio. Ma è difficile prevederne i risultati: un centro storico di maggior qualità? o, semplicemente, in abbandono? La sfida che ci attende sta tutta in questa alternativa.
Nella primavera del 2020 alcuni esponenti del mondo culturale fiorentino avevano avviato un dibattito – cui la stampa cittadina aveva dato particolare risalto – proponendo temi e progetti utili ad un rilancio culturale della città. Oggi tutto questo è rimasto un ricordo lontano o hai notato un ascolto da parte delle istituzioni cittadine ?.
Da presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, sono lieta che gli accademici abbiano contribuito a questo dibattito con una serie di interventi di analisi e di riflessione, incentrati appunto sul ruolo e sul significato del centro storico in ambito culturale e sociale. Le autorità cittadine hanno manifestato il loro interesse per questi argomenti, ma naturalmente, per esser formulata in termini concreti, ogni proposta di riassetto e ripensamento di una realtà consolidata richiede visione e tempo. E intanto la pandemia ha scompigliato le carte: prima ci si lamentava dell’overtourism e delle storture che provocava, oggi ci si lamenta dell’assenza del turismo, specie internazionale, dunque del fenomeno opposto! Non c’è da stupirsi se tutti, istituzioni e privati, siamo frastornati da questa brusca inversione di tendenza.
Fra le proposte torna sempre in voga la necessità di evitare la concentrazione dei flussi verso i due grandi poli degli Uffizi e dell’Accademia. Le mete alternative sono molteplici e in grado di rispondere a svariate sensibilità ed interessi – dal nostro punto le Case Museo di Palazzo Davanzati e Casa Martelli si inserirebbero perfettamente in questa strategia – ma cosa concretamente si può fare perché questo “sogno” si trasformi in realtà ?
Sono convinta, e non da ora, che i musei “minori” e le mete culturali sul territorio siano un tratto identitario di Firenze e della Toscana, che ne rappresenta una delle maggiori attrattive. Fin dagli anni ’80 del secolo scorso gli istituti che conosco meglio – le Soprintendenze, responsabili della tutela del patrimonio e dei musei statali, ma anche gli Enti ecclesiastici, i Comuni ecc. – si sono adoperati per far emergere questa ricchezza poco conosciuta e ancor meno frequentata: ricordo cicli di pubblicazioni e di mostre dedicate ai “piccoli grandi musei”, promossi tra gli altri dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, anche in questo nuovo secolo. A maggior ragione ora che le misure di contrasto al virus Sars-CoV-2 (col quale si dovrà combattere ancora a lungo) suggeriscono una distribuzione più capillare di individui, famiglie e gruppi evitando la concentrazione in code e masse, la rete dei musei “minori” o specialistici potrebbe offrire valide alternative e complementi di visita ai noti colossi del sistema museale. Ma c’è molto da lavorare perché questo sia percepito e promosso.
Col ritorno ad una vita normale ripartiranno anche le mostre che già in queste ultime settimane stanno dando qualche segnale di ripresa. Palazzo Strozzi rappresenta il punto di forza del sistema espositivo ma, forse, anche le altre istituzioni potrebbero contribuire alla creazione di un circuito virtuoso e , magari, più coordinato nei tempi e nella promozione. Quale è la tua opinione in proposito ?
Ho accumulato troppa esperienza e, da fiorentina, troppa consapevolezza dei comportamenti dei concittadini, per credere ancora in una “cabina di regia” capace di coordinare e armonizzare le iniziative dei vari soggetti culturali. Ogni tentativo in tal senso è sempre fallito prima di cominciare. Siamo, come persone e istituzioni, profondamente individualisti e rivendichiamo ognuno la propria autonomia di progettare, inaugurare, gestire. C’è anche da dire che le mostre dipendono da fattori non sempre controllabili, come i prestiti delle opere da esporre e i finanziamenti da sponsor ed enti terzi, e può accadere che gli organizzatori raggiungano la certezza degli uni e degli altri in ritardo rispetto al previsto… da qui le difficoltà a formulare e a render nota una programmazione sicura in congruo anticipo. E’ una fragilità strutturale che penalizza i singoli ma, di riflesso, l’intero sistema.
Nella sua intervista a Focus , Mario Curia ha messo in luce l’importanza della qualità dei servizi e della sicurezza quali elementi indispensabili non solo per chi vive nel centro ma anche per rendere attrattivo un luogo e poter competere con le offerte turistico/culturali che altre città propongono. Condividi questa opinione e cosa pensi sarebbe importante fare
Gli aspetti evidenziati da Curia meritano la priorità: qualità dei servizi e sicurezza sono imprescindibili per un’offerta adeguata alle esigenze e alle aspettative del pubblico internazionale, e in entrambi i campi l’Italia deve ancora lavorare molto per migliorare, specie puntando sul digitale. Una ulteriore e urgente necessità, a mio avviso, riguarda la promozione attraverso la comunicazione. Di nuovo, ricorro alla mia lunga esperienza per constatare che a Firenze non si investe mai abbastanza in questo settore dell’odierna vita sociale, nella convinzione un po’ snob che la città e le sue iniziative siano di per sé note e attrattive. Ho visto cassare con un tratto di penna, o ridurre drasticamente, la voce di spesa della comunicazione dai piani per grandi e costosi eventi! Ma l’ultimo evento che si promosse da solo furono i Bronzi di Riace che, esposti in sordina, divennero un fenomeno planetario: era il 1980! Nei quarant’anni trascorsi la promozione è cresciuta in senso specialistico e competitivo, regioni e città investono in spazi televisivi nelle fasce di massimo ascolto, il lavoro sui social è incessante. E mi domando: stiamo facendo abbastanza? Stiamo facendo le cose giuste, e professionalmente adeguate, per promuovere e far conoscere i nostri tesori, al di là degli stereotipi da cartolina? O abbiamo lasciato che questi spazi fossero occupati da narratori dilettanti, guide volenterose, commentatori occasionali, diffusori di aneddoti obsoleti e di fake news?… resto convinta che un massiccio investimento in una comunicazione di qualità potrebbe fare la differenza. Spero che questa mia visione sia condivisa da chi ha le risorse per trasformarla in realtà, anche se, come si dice a Firenze, ci credo poco.